Una festa solare e primaverile, la Festa della Pina è un appuntamento da tempo immemore
Di Paolo Lorenzoni
La “festa della pina” si svolge nel piazzale antistante la bella chiesa di Lamulas e fra i castagni attigui, nei pressi di Montelaterone, nella domenica in Albis, successiva alla Pasqua. È una festa solare e primaverile, la
prima scampagnata nella bella stagione, dove da tempo immemore si danno appuntamento non solo i montelateronesi ma anche la gente dei paesi vicini e la sua ispirazione è di chiara ispirazione pagana.
La pina è il primo frutto che germoglia dopo la stagione invernale e per il suo valore simbolico s’ispira al risveglio in genere della natura, anche a quello sessuale. Essa stringe e racchiude al suo interno tanti semi,
assurgendo a icona della fertilità femminile, mentre il ramo che la conficca è un evidente richiamo alla potenza fallica maschile. La pina, se esprime una peculiarità di questa festa, non lo è nell’iconografia delle pievi romaniche, dove rappresenta un frutto per eccellenza, compatto, puro, inviolabile ma anche foriero di doni e fertilità. Ed anche il luogo dove si svolge la festa non è casuale, non è escluso, infatti, che prima della Pieve cristiana lì sorgesse un tempio pagano. Anche le raffigurazione scolpite sui capitelli romanici delle colonne, nell’interno della chiesa, ci rimandano a un mondo pastorale remoto di una civiltà contadina e alle feste campestri in onore di Pale, Flora, Bacco.

D’altronde Montelaterone, paese antichissimo e come la Pieve di origine benedettina di Abbadia San Salvatore, aveva alcune tradizioni e usanze che affondavano le loro radici nella mitologia romana, oggi
scomparse con lo spopolamento del paese. E fino a circa 50 anni fa, durante la festa della pina, era pure consuetudine che gl’innamorati si rivelassero l’uno all’altra. Allora i ragazzi donavano alle fanciulle prescelte
una pina, dorata o argentata, infilata all’estremità da un bastone e, se contraccambiati, ricevevano in cambio una ciambella forata o uno zuccherino. E forse due cuori avrebbero battuto all’unisono, tornando a
casa la sera… La Pieve di Lamulas o Lamula , chiesa giubilare anche questo anno, deriva questo nome perché, secondo la tradizione popolare più diffusa, in origine una mula s’inginocchiò all’ingresso in
devozione della Madonna e due fossette visibili sulla pietra ne testimonierebbero la miracolosa veridicità. Da menzionare, ancora, che poco distante dalla Pieve vi è una chiesina, sorta come edicola mariana,
denominata delle Schiacciaie, dal luogo omonimo, che racchiude interessanti affreschi sulle pareti del 1400 e sul soffitto una rara immagine della S.S. Trinità tricefala, cioè con tre volti su un unico corpo. Continuando in salita e arrivando nel borgo vi è la chiesa della Misericordia, con bellissimi affreschi di Francesco Nasini della fine del 1600. Quindi e giungendo sulla piazza, appare la chiesa parrocchiale di San Clemente, risalente alla metà circa del 1200, nel cui interno o fuori si svolgevano, in epoca medievale, gli “arenghi” per le importanti decisioni comunali. Continuando a salire, fra un dedalo di viuzze, Porte millenarie, scalini consunti in saliscendi e panorami mozzafiato, si arriva ai ruderi del cassero senese, denominato la roccaccia, degli inizi della seconda metà del 1200. Esso si ergeva nel recinto più alto che conteneva anche la
grancia, riserva alimentare e non solo, dove i monaci custodivano i loro beni più preziosi. All’interno del recinto o del castrum , vi era pure la chiesa di Santa Vittoria, da molto tempo scomparsa. È opinione
diffusa, fra gli studiosi, che in epoca precristiana lì sorgesse un tempio pagano, dedicato alla dea Latona, dalla quale il paese avrebbe tratto il nome, come Monte della dea Latona. A riguardo una grossa pietra di
trachite fa angolo in una parete esterna della chiesa di San Clemente e reca incisa un’ invocazione a Zeus, tuttora leggibile. A onore del vero esiste anche un’altra interpretazione che spiegherebbe il toponimo del
paese come derivato da rifugio di ladri, grazie alla sua posizione egemonica e isolata, tanto da divenire un “Monte di ladroni” . Ma ripeto, si tratta solo di una maldicenza, non esente da ironia e invidia conseguente
al carattere industrioso, parsimonioso e riservato dei suoi abitanti.