Ecco quei piatti che non dovevano mancare nelle tavole amatine il giorno di Natale
Anche se erano i piatti di tutti i giorni, a Natale erano sicuramente i più buoni che si potevano cucinare. Ecco, abbiamo già svelato il finale e adesso non ci resta che precisare, fin da subito, che i questo articolo non ci troverete quella nostalgia dei tempi che furono, solo curiosità e un pizzico di cultura gastronomica. Ci si avvicina a Natale e le preparazioni dei piatti da servire e gustare con amici e parenti (più parenti che amici) sono ormai all’ordine del giorno. C’è chi punta sulle lasagne di primo e arrosto di secondo, un menù evergreen che accontenta tutti e tutte, grandi e piccini. C’è invece chi ama la tradizione e che in questi casi vuol dire: crostino con il cavolfiore e un filo di olio nuovo, tortellini (ma di quelli fatti a mano, perché almeno a Natale bisogna mangiare bene) in brodo e cappone ripieno, per finire un bel panettone, se è artigianale è ancora meglio. Dipende un po’ dai gusti, e già, oggi sono proprio i gusti a determinare il menù ma un tempo c’era quello che la stagione offriva, ossia ben poco.
Abbiamo chiesto a chi, più di noi, conosce la tradizione gastronomica locale. Abbiamo parlato con Ugo Quattrini detto il Pampini, l’oste della famosa “Osteria Aiuole” che ci ha snocciolato dei ricchissimi “poveri menù”. “Ugo, come stai? ti volevamo chiedere un menù tipico e tradizionale di Natale“. Subito l’oste dai baffoni bianchi e amico di mille personaggi famosi, ci ha ricordato che: “Io sto bene – risponde subito – sto cucinando una minestra fagioli, ceci e farro, come si faceva 60 anni fa. Se vogliamo parlare della tradizione allora è opportuno dimenticare i tortellini in brodo, panettoni e altro. Parliamo dei menù natalizi degli anni 60, quelli più popolari (i ricchi mangiavano altro) quelli dove i cibi di stagione andavano sulle tavole tutti i giorni, anche a Natale“. Se oggi dovessimo riproporre un tradizionale pranzo natalizio amiatino dovremmo partire con: “Senz’altro con un antipasto di mazzafegato, soppressata, e crostini o con creste di gallo o con le interiora sempre di gallo. Di primo – prosegue Ugo – mangeremmo un bel piatto di polenta di castagne fritta con queste varianti, animelle o buristo o aringa. Per i più fortunati c’era anche la ricotta. In sostituzione o in aggiunta della polenta avremmo abbinato i maccheroni che da noi sono le tagliatelle – continua – con sugo d’oca o la minestra di ceci, fagioli e farro, quella che peraltro sto cucinando adesso. Di secondo, sulla tavola di Natale sicuramente avremmo trovato il coniglio ripieno o il galletto alla cacciatora e di contorno lo sformato di cardi o i sedani stufati. Per concludere un salame al cioccolato“.
Un menù che riproporlo oggi, sarebbe una grande riscoperta di sapori e gusti straordinari. Eh se volessimo scoprire anche il menù della Vigilia: “Bè – sorride Ugo – molti per la Vigilia non mangiavano”.
La tradizione però vuole il pesce ed ecco che sulla tavola del 24 dicembre spuntano tre must della nostra tradizione culinaria: L’anguilla in umido, la sarda ripiena e le acciughe sottopesto. C’è anche un perché si mangiava solo anguilla, sarda e acciughe. La prima perchè si pescava nei nostri torrenti le altre due perché erano gli unici che si trovavano in commercio sull’Amiata. Tra i primi la minestra all’ortica – unica erba che si può reperire 10 mesi all’anno -e le uova soda con la salsa verde.
“A titolo di cronaca in alcune case si cucinava anche una buonissima minestra di orcelle – commenta Ugo – che in seguito è stata sostituita con la zuppa di ordinali ma che attualmente non si possono cucinare nei ristoranti. Tra le verdure della tavola, bè protagonista assoluto era il cavolo, bollito e condito con l’olio nuovo mentre con le sue foglie ci si faceva un crostino stellare”.
Oggi alcuni di questi piatti sono giunti fino a noi e seppur con qualche variante rappresentano un vero e proprio patrimonio da difendere e tutelare.